Valeria Spadini - 22-10-2005
Come Sigismondo di "La vita è sogno" (Calderon Della Barca, 1673), anch'io, fino a non molto tempo fa, vivevo in un sogno.
Nel sogno, anzi, nell'illusione della parità dei sessi, della completa emancipazione del mondo femminile; sognavo che la mia finestra, senza inferriate, fosse aperta sulla vita. Vivevo bene nella mia prigione, poiché fin dalla nascita non avevo visto altro, né sapevo che esistessero alternative.
La libertà l'ho raggiunta con le parole, parole stampate su libri, libri scritti da donne. E' stato un processo lungo,anzi è ancora in corso, e ogni giorno che passa mi sento più consapevole, più libera, più donna. Per compiere questa impresa, ritrovare me stessa, posso contare solo sulle mie forze e il sostegno di poche altre persone. La «scuola, nome comune femminile» (titolo di un libro di Vita Cosentino - appartenenente alla comunità filosofica di Diotima) è infatti neutra, non tiene conto delle differenze tra i sessi. Ma una scuola neutra in un mondo maschile come può essere se non maschile?
Diamo un'occhiata alla storia, alla letteratura, alla filosofia, dove i protagonisti sono sempre e irrimediabilmente gli stessi. Forse le donne non erano ancora state inventate? Oppure dove stavano?
Stavano, come Jane Austen, nelle loro stanze, nascondendo i loro scritti a ogni minimo rumore, i propri pensieri ad ogni domanda, se stesse ad ogni sguardo; oppure, come George Eliot, pseudonimo maschile di Mary Ann Evan, mascheravano e rinunciavano alla propria femminilità per essere accettate dalla letteratura maschile.
Col passare degli anni alcune donne uscirono dall'ombra: Virginia Woolf, Hannah Arendt, Simone Veil, Edith Stein e molte altre. (Tutte le donne nominate sono filosofe e scrittrici del periodo che va da fine '800 a metà '900)
Molte di loro, però, pagarono un prezzo altissimo: «Le conquiste dell'emancipazione femminile le avevano consentito l'accesso a un ambito dove non c'era spazio per il riconoscimento della specificità femminile: una donna filosofo poteva esistere solo a patto che non mettesse in questione l'egemonia del discorso maschile», così come in ogni altro ambito culturale, racconta Maria Zambrano, pensatrice spagnola del '900. Il loro ingresso nel mondo è avvenuto in punta di piedi, sotto altre sembianze e accompagnato da un senso di inadeguatezza. Loro per prime non si sentivano all'altezza di una cultura che le ha sempre rifiutate e accettate solo a prezzo della rinuncia di una parte di sé.
La loro assenza o il solo accenno nei nostri libri di testo parlano da sé.
Dalla mia personale esperienza, ho notato che anche i professori più «aperti» ci propongono scontri tra ricchi e poveri, tra oppressi e oppressori, tra borghesi e proletari. Tralasciano però di parlare di un conflitto trasversale che prescinde dalle classi sociali e che ha sempre accompagnato la storia: quello tra il femminile e il maschile.
Nel sogno, anzi, nell'illusione della parità dei sessi, della completa emancipazione del mondo femminile; sognavo che la mia finestra, senza inferriate, fosse aperta sulla vita. Vivevo bene nella mia prigione, poiché fin dalla nascita non avevo visto altro, né sapevo che esistessero alternative.
La libertà l'ho raggiunta con le parole, parole stampate su libri, libri scritti da donne. E' stato un processo lungo,anzi è ancora in corso, e ogni giorno che passa mi sento più consapevole, più libera, più donna. Per compiere questa impresa, ritrovare me stessa, posso contare solo sulle mie forze e il sostegno di poche altre persone. La «scuola, nome comune femminile» (titolo di un libro di Vita Cosentino - appartenenente alla comunità filosofica di Diotima) è infatti neutra, non tiene conto delle differenze tra i sessi. Ma una scuola neutra in un mondo maschile come può essere se non maschile?
Diamo un'occhiata alla storia, alla letteratura, alla filosofia, dove i protagonisti sono sempre e irrimediabilmente gli stessi. Forse le donne non erano ancora state inventate? Oppure dove stavano?
Stavano, come Jane Austen, nelle loro stanze, nascondendo i loro scritti a ogni minimo rumore, i propri pensieri ad ogni domanda, se stesse ad ogni sguardo; oppure, come George Eliot, pseudonimo maschile di Mary Ann Evan, mascheravano e rinunciavano alla propria femminilità per essere accettate dalla letteratura maschile.
Col passare degli anni alcune donne uscirono dall'ombra: Virginia Woolf, Hannah Arendt, Simone Veil, Edith Stein e molte altre. (Tutte le donne nominate sono filosofe e scrittrici del periodo che va da fine '800 a metà '900)
Molte di loro, però, pagarono un prezzo altissimo: «Le conquiste dell'emancipazione femminile le avevano consentito l'accesso a un ambito dove non c'era spazio per il riconoscimento della specificità femminile: una donna filosofo poteva esistere solo a patto che non mettesse in questione l'egemonia del discorso maschile», così come in ogni altro ambito culturale, racconta Maria Zambrano, pensatrice spagnola del '900. Il loro ingresso nel mondo è avvenuto in punta di piedi, sotto altre sembianze e accompagnato da un senso di inadeguatezza. Loro per prime non si sentivano all'altezza di una cultura che le ha sempre rifiutate e accettate solo a prezzo della rinuncia di una parte di sé.
La loro assenza o il solo accenno nei nostri libri di testo parlano da sé.
Dalla mia personale esperienza, ho notato che anche i professori più «aperti» ci propongono scontri tra ricchi e poveri, tra oppressi e oppressori, tra borghesi e proletari. Tralasciano però di parlare di un conflitto trasversale che prescinde dalle classi sociali e che ha sempre accompagnato la storia: quello tra il femminile e il maschile.
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